Quando (e se) smettere di investire

Alcuni giorni fa stavo bazzicando su ItaliaPersonalFinance. Chi mi segue da un po’ di tempo sa che sono un assiduo frequentatore, anche se ultimamente sono passato più che altro al lurking.

Mi sono imbattuto in una discussione interessante di un utente che chiedeva quando avrebbe senso smettere di contribuire al proprio PAC.

Perché dovrei smettere di investire?” direte voi.

Bè le ragioni possono essere tante: abbiamo dei debiti da saldare, dobbiamo incrementare il nostro fondo d’emergenza ridotto a causa di prelievi recenti, è cambiato il nostro stile di vita. Ma il senso della discussione era più teorico che pratico: la domanda infatti riguardava un aspetto apparentemente scontato da un punto di vista matematico, ma che offre alcuni spunti di riflessione.

Il punto chiave è: se negli anni il mio portafoglio cresce, l’incidenza dei miei versamenti annuali sarà tanto minore quanto più velocemente cresce il mio montante. In questo caso quindi arriveremo ad un certo punto in cui i nuovi versamenti avranno un’incidenza sul montante finale irrisoria. In questo caso ha senso sospendere i versamenti?

Incidenza dei versamenti sul valore di portafoglio

Supponiamo di investire 12.000 euro annui (1.000 euro/mese) in un portafoglio con un CAGR netto inflazione del 5%. Mano a mano che il portafoglio cresce l’incidenza dei nuovi conferimenti sul valore totale del portafoglio tende a zero. Succede quindi che dopo 5 anni, l’incidenza dei 12.000 euro annui è di poco meno del 20% sul totale del valore di portafoglio. Dopo 10 anni è di meno del 10%. Dopo 15 anni è inferiore al 5%.

smettere di investire, valore portafoglio

Ovviamente questo è un caso ipersemplificato, in quanto la crescita del portafoglio non è così lineare nel tempo, ma ha delle oscillazioni. Ma il punto sul quale dobbiamo riflettere è: quando ha senso che io smetta di investire quei 12.000 euro/anno? Esiste una soglia di incidenza al di sotto della quale i miei versamenti futuri sono irrilevanti da un punto di vista di crescita del capitale a scadenza?

La risposta ovviamente è sempre la stessa: dipende. Dipende da una serie di fattori tra cui rendimento atteso, inflazione attesa, gli anni residui e così via. Ma dipende anche e soprattutto da quali sono i nostri obiettivi.

L’incidenza attesa

Per capire effettivamente quanto potrà essere il beneficio del nostro investimento annuale sul totale del montante a scadenza, potremmo calcolarne l’incidenza.

Per far ciò è necessario quindi stimare:

  • rendimento annuale atteso dai nostri investimenti;
  • inflazione futura.

Essendo due valori stimati è chiaro che l’incidenza che andrò a calcolare sarà solamente indicativa e che l’incidenza reale di un dato conferimento di capitale in un determinato periodo di tempo potrà essere calcolato con precisione solo a posteriori.

Ad esempio, se ipotizziamo un rendimento medio annuale del 6% del nostro portafoglio e un’inflazione futura attesa del 2,5%, possiamo avere un’indicazione di quanto peseranno i nostri futuri conferimenti di capitale.

Ipotizziamo come nell’esempio precedente che decidiamo di versare 12.000 euro all’anno, che il valore attuale del nostro portafoglio sia 300.000 euro e che mi aspettano ancora 15 anni prima di arrivare all’obiettivo che mi sono prefissato (pensione, acquisto immobile, sostenere i figli e così via).

va = versamenti annuali
r = rendimento annuale atteso
d = durata residua
i = inflazione attesa
C = valore attuale del portafoglio

Nel caso specifico quindi abbiamo:

Incidenza attesa = 1200*(1.06)15/1.02515/300000 = 6,61%

Questo significa che il versamento di 12.000 euro annuali fatto a 15 anni dalla scadenza porterà ad un incremento di poco più del 6% del capitale finale se nei 15 anni successivi i rendimenti annuali saranno del 6% e l’inflazione media sarà del 2,5%.

L’incidenza progressiva

Indicativamente su un orizzonte di 20 anni e un rendimento medio annuo del 6%, il 65% del nostro capitale a scadenza dipenderà dai versamenti annuali fatti nei primi 10 anni. Questo se all’inizio dei nostri 20 anni il capitale investito è zero e stiamo facendo unicamente un PAC.

Se invece abbiamo da parte qualche soldo e decidiamo di entrare subito a mercato e poi di fare un PAC, l’incidenza dei nostri versamenti annuali sarà tanto più bassa quanto più alto sarà il nostro capitale investito all’inizio del periodo.

Per esempio, se versiamo l’equivalente di 4 annualità all’inizio in lump sum e poi versiamo annualmente, l’incidenza dei primi 10 anni aumenta dal 65% al 73%. Se versiamo l’equivalente di 8 annualità all’inizio e poi versiamo annualmente, l’incidenza dei primi 10 anni aumenta al 78%.

smettere di investire, incidenza progressiva

Questo effetto è amplificato anche dai rendimenti attesi. Più sono alti più l’incidenza dei versamenti fatti nei primi anni è impattante. Ovviamente questo si riflette nella realtà: tanto più rendimenti reali del nostro portafoglio saranno elevati, tanto più l’incidenza reale dei nostri versamenti fatti nella prima metà degli anni di investimento sarà elevata.

E questo viene ulteriormente amplificato anche da eventuali ribilanciamenti verso strumenti più prudenti nell’ultimo arco della nostra vita di lavoratori (la famosa regola di Bogle, ad esempio).

smettere di investire, incidenza progressiva

Conclusioni

Ciò che facciamo negli ultimi anni del nostro investimento (per dare due numeri a spanne, direi nell’ultimo 25%, quindi se investiamo per 40 anni, negli ultimi 10 anni) ha un’incidenza sul risultato finale che potrebbe essere addirittura inferiore al 10% del montante che raggiungeremo. Non investire per gli ultimi 10 anni su un orizzonte di 40 potrebbe significare una differenza a scadenza tra 500.000 euro e 550.000 euro o tra 1 milione e 1,1 milioni di euro.

Questo ci porta all’ovvia (e amara) conclusione di dover spingere il più possibile sull’acceleratore nei primi anni di investimento.

Amara perché la tendenza è inversamente proporzionale alla crescita del reddito. E’ proprio nei primi anni di vita lavorativa che abbiamo più difficoltà a risparmiare per il lungo termine. E’ quando siamo più giovani che abbiamo la necessità di dover mettere da parte soldi per l’acquisto della prima casa, per i figli o per altri progetti di vita a breve-medio termine. Non a caso la fascia d’età col maggior potere d’acquisto è quella degli over 60. E questo vale sia in USA che in Europa.

Come le formiche, è ciò che mettiamo da parte in estate che ci consentirà di sopravvivere all’inverno.

Grazie per la lettura.

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