Il TFR: come funziona, dove investirlo e quali sono i vantaggi

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è una somma di denaro che l’azienda versa al dipendente alla fine del rapporto di lavoro. Si tratta di un fondo accumulato durante la vita lavorativa del dipendente, che viene versato come indennità di fine rapporto. Il TFR rappresenta quindi una sorta di “riserva” che ogni lavoratore italiano matura durante la propria carriera professionale.

Da sottolineare il fatto che contributi pensionistici e TFR sono due cose separate e ben diverse. I primi devono essere versati da tutti i lavoratori (inclusi quelli a partita IVA), mentre il secondo è un accantonamento calcolato sullo stipendio per i soli lavoratori dipendenti, siano essi pubblici o privati.

Come si calcola il TFR

Il calcolo del TFR dipende da diversi fattori, tra cui la retribuzione del dipendente, l’anzianità di servizio e il tipo di contratto di lavoro. In generale, il TFR accantonato in un anno è pari a circa una mensilità dello stipendio. In alternativa la possiamo calcolare come il 6,91% della retribuzione lorda annua. Se abbiamo una retribuzione annua lorda di 28.000 €, la quota di TFR accantonata in un anno è di 1934,8 €.

Come si gestisce?

Esiste una sorta di tacito accordo tale per cui se il dipendente non specifica di voler destinare il proprio TFR ad una forma di previdenza complementare, questo rimane in azienda (se ha meno di 50 dipendenti) oppure viene gestito dall’INPS. Se invece viene specificato dal dipendente di voler destinare il proprio TFR ad una forma complementare, le scelte sono le seguenti:

  • Fondo pensione negoziale (o chiuso);
  • Fondo pensione aperto;
  • Piano Individuale Pensionistico (PIP).

Vediamo di seguito le varie opzioni.

Lasciare il TFR in azienda

Se l’azienda ha meno di 50 dipendenti il TFR rimane al datore di lavoro. Tra tutte le possibili alternative, questa è sicuramente la più rischiosa per i seguenti motivi:

  • Rischio di fallimento dell’azienda;
  • Rischio di mancata rivalutazione: il TFR deve essere rivalutato per stare al passo con l’inflazione, altrimenti perde potere d’acquisto nel tempo. Il datore di lavoro, nonostante gli obblighi di legge, può non garantire una buona rivalutazione nel tempo;
  • Rischio di perdita di autonomia: non si è liberi di gestire il TFR come più ci aggrada, inoltre eventuali richieste di anticipo o di riscatto potrebbero richiedere molto tempo per essere liquidate.

Nel caso in cui si cambi lavoro, il TFR potrà essere liquidato oppure potremo decidere di destinarlo all’INPS in attesa del prossimo impiego. La liquidazione comporterebbe la tassazione del TFR come fosse a tutti gli effetti reddito da lavoro. La tassazione avverrà quindi calcolando l’aliquota media degli ultimi 5 anni, pur considerando il fatto che la tassazione minima sarà del 23% (scaglione IRPEF più basso).

Destinare il TFR all’INPS

In caso l’azienda abbia più di 50 dipendenti, è obbligata per legge a destinare il TFR dei dipendenti all’INPS. L’INPS si occuperà della rivalutazione, di eventuali richieste di anticipo o riscatto e della gestione in caso di liquidazione.

La rivalutazione del TFR avviene seguendo l’inflazione. Il calcolo del coefficiente di rivalutazione infatti è calcolato tramite la seguente formula:

Coefficiente di rivalutazione TFR = 1,5% + 0,75% * variazione indice Istat FOI a 12 mesi

E’ chiaro quindi che il TFR gestito dall’INPS ha delle sicurezze in più rispetto alla gestione da parte del datore di lavoro.

Resta comunque il fatto che la liquidazione e gli eventuali anticipi del TFR saranno sottoposti a tassazione come nel caso precedente, quindi assimilando il TFR al reddito da lavoro e calcolando un’aliquota media per gli ultimi 5 anni lavorati e con un’aliquota minima del 23%.

Destinare il TFR a strumenti di previdenza complementare

Una valida alternativa che hanno i lavoratori dipendenti è quella di destinare il TFR a degli strumenti di previdenza complementare.

Come abbiamo visto prima, gli strumenti di previdenza complementare sono 3:

  • Fondi pensione negoziali (o chiusi);
  • Fondi pensione aperti;
  • Piani Individuali Pensionistici (PIP).

Prima di passare alle differenze, ecco i punti che hanno in comune:

  • possibilità di scegliere l’esposizione azionaria/obbligazionaria e possibilità di cambiarla in corsa;
  • possibilità di effettuare dei versamenti aggiuntivi;
  • possibilità di ricevere dei versamenti aggiuntivi da parte del datore di lavoro;
  • tassazione agevolata.

Vediamoli in dettaglio.

Versamenti aggiuntivi e deducibilità fiscale

In tutti questi prodotti è possibile versare una quota extra dal proprio stipendio oppure fare versamenti volontari periodici o una tantum. Nel caso si decida di versare una quota extra dallo stipendio, in molti casi è previsto da contratto che anche il datore di lavoro versi a sua volta una percentuale. Tale contributo dipende appunto dagli accordi contrattuali stipulati.

Tutti i contributi versati nella previdenza complementare ad eccezione del TFR (contributi volontari, contributi datoriali, ecc) sono deducibili fino ad un massimo annuo di 5164,57 €. Questo significa che in fase di dichiarazione dei redditi verrà ridotto l’imponibile tassabile della quota di versamenti volontari e del datore di lavoro effettuati nell’anno precedente sui prodotti di previdenza complementare.

Nota importante: per i lavoratori assunti dal 2007 è possibile recuperare eventuali deducibilità fiscali non godute nei primi 5 anni di versamenti, hanno 20 anni per recuperarle.

Inoltre, è possibile portare in deduzione anche i versamenti fatti per conto di un familiare fiscalmente a carico. Per esempio, se intestate un fondo pensione a vostro figlio, potete dedurre voi i versamenti effettuati.

Differenza tra deduzione e detrazione: la deduzione è la possibilità di ridurre il reddito imponibile soggetto a tasse. Se in un anno avete un reddito imponibile del 30000 € e un importo deducibile di 5000 €, le tasse verranno calcolate su 25000 €. La detrazione, invece, è la possibilità di ridurre direttamente le tasse da pagare. Per esempio, se le tasse calcolate in un anno sono di 2000 € e avete un importo detraibile di 200 €, andrete a pagare 1800 € di tasse allo Stato.

Vantaggi riguardanti la tassazione in fase di liquidazione

Il principale vantaggio di destinare il TFR a queste forme è che in fase di liquidazione verrà applicata una tassazione ridotta rispetto al lasciare il TFR in azienda o all’INPS. Infatti, la tassazione in questo caso non viene calcolata in base alla media degli scaglioni IRPEF degli ultimi 5 anni, ma va da un 15% fino ad un 9%, in base agli anni di anzianità di adesione alla previdenza complementare.

Ogni anno di permanenza all’interno di una forma di previdenza complementare oltre il 15esimo anno, comporterà una riduzione dell’aliquota dello 0,3% annuo. Significa che dopo 35 anni, la nostra aliquota in caso di liquidazione sarà del 9%. Da sottolineare che cambiare tra i vari strumenti visti precedentemente non comporta un “reset” del conteggio. L’importante quindi è intestarsi il prima possibile uno strumento di previdenza complementare, qualunque esso sia, in modo da far partire il conteggio per la tassazione agevolata.

Differenze tra gli strumenti di previdenza complementare

Senza entrare troppo nel dettaglio, le principali differenze tra i tre strumenti di previdenza complementare sono relative a chi gestisce tali strumenti e chi può aderire.

Per quanto riguarda i Fondi negoziali o di categoria (chiusi) possono aderire solo i lavoratori di determinati settori in base al CCNL di riferimento del contratto. Per esempio, il fondo di categoria COMETA è destinato ai dipendenti assunti con contratto metalmeccanico, il fondo FON.TE. a coloro che hanno un contratto del terziario e così via.

I Fondi aperti e i PIP sono invece aperti a tutti, inclusi coloro disoccupati o inoccupati. La differenza principale sta nel fatto che i primi sono gestiti da banche ed istituti di credito mentre i secondi dalle assicurazioni.

Per quanto interessa noi poveri dipendenti, la vera differenza è relativa ai costi di gestione di queste tre tipologie di prodotti. Mediamente, i più economici sono i fondi di categoria e i più costosi sono i PIP. Non sto a sottolinearvi l’importanza dei costi quando si investe per 30, 40 o 50 anni.

E se ne ho bisogno prima?

Il TFR verrà liquidato al momento del raggiungimento dei requisiti per la pensione. Tuttavia, ci sono alcuni casi particolari nei quali è possibile richiedere anticipi o riscatti anticipati. La differenza sta nel fatto che un anticipo consente di reinvestire il capitale percepito mentre il riscatto no.

E’ possibile richiedere un anticipo sul TFR nei seguenti casi:

  • Spese sanitarie per sé o per i figli – in qualsiasi momento fino ad un massimo pari al 75% del capitale maturato;
  • Acquisto o ristrutturazione prima casa per sé o per i figli – decorsi 8 anni dalla sottoscrizione ad una forma pensionistica complementare fino ad un massimo pari al 75% del capitale maturato;
  • Senza motivazione – decorsi 8 anni dalla sottoscrizione fino ad un massimo del 30% del capitale maturato.

E’ possibile inoltre richiedere dei riscatti anticipati parziali o totali nei seguenti casi:

  • Morte o invalidità permanente con riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo – è possibile richiedere un riscatto totale;
  • Inoccupazione, mobilità o cassa integrazione – 50% fino a 48 mesi, riscatto totale oltre il 48 mesi;
  • Casistiche particolari tali per cui il dipendente non può più versare i contributi.

Cosa scegliere in breve

La scelta tra tenere il TFR in azienda oppure destinarlo ad un prodotto di previdenza complementare è un dubbio che da dipendenti è necessario porsi il prima possibile.

Di seguito un’analisi in breve che spero vi aiuterà a chiarire la situazione.

Rendimenti e costi

Come sappiamo, i rendimenti variano da anno in anno e la storia ci dice poco del futuro. Viceversa, i costi sono certi ed è una variabile sulla quale poter agire per massimizzare i rendimenti.

Se analizziamo l’ultima relazione della COVIP, ormai risalente al 2021, possiamo notare come su vari orizzonti temporale la rivalutazione del TFR tenuto in azienda sia stata più svantaggiosa rispetto alla media dei rendimenti dei fondi chiusi, aperti e dei PIP. A 20 anni, pur non avendo disponibile il rendimento dei PIP, possiamo vedere come i fondi negoziali abbiano fatto meglio. Da notare che i rendimenti sono tutti al netto dei costi di gestione e dell’imposta sostitutiva.

Fiscalità

Su questo tema c’è poco da fare, previdenza complementare batte clamorosamente il TFR tenuto in azienda.

TFR in aziendaPrevidenza complementare
Tassazione in base ad aliquota IRPEF
(minimo 23% – massimo 43%)
Tassazione agevolata
a partire dal 15% fino al 9%
dopo 35 anni di anzianità

Anticipazioni e riscatti

MotivazioneTFR in aziendaPrevidenza complementare
Spese mediche personali e per i figliDecorsi 8 anni dall’assunzione per un importo massimo pari al 70%In qualsiasi momento per un importo massimo pari al 75%
Acquisto prima casa per sé o per i figliDecorsi 8 anni dall’assunzione per un importo massimo pari al 70%Decorsi 8 anni dalla sottoscrizione di una qualsiasi forma previdenziale per un importo massimo pari al 75%
Senza motivazioneDecorsi 8 anni dall’assunzione per un importo massimo pari al 70% (solo per congedi parentali o formazione extra lavorativa)Decorsi 8 anni dalla sottoscrizione di una qualsiasi forma previdenziale per un importo massimo pari al 30%
Univocità della richiestaL’anticipo può essere richiesto una sola voltaL’anticipo può essere richiesto più volte

E per chi è a partita IVA?

Chi ha la partita IVA può aderire a qualsiasi fondo aperto o PIP. Da pochi anni, anche Fon.Te., pur essendo un fondo di categoria, ha aperto le porte ai lavoratori autonomi del terziario, che possono versare una parte delle proprie entrate in questo fondo chiuso.

Ovviamente i lavoratori autonomi non hanno TFR, perciò i versamenti che vengono fatti sono versamenti volontari, che possono essere portati totalmente in deduzione (fino al limite massimo di 5164,57 €.

Tuttavia, il diretto concorrente di questi prodotti per il lavoratore a partita IVA è un portafoglio ETF ugualmente bilanciato, che avrà costi di gestione più bassi, non avrà la quota deducibile ma neanche la tassazione sul versato a scadenza.

In conclusione

Il sito della COVIP mette a disposizione un’area interamente dedicata ai costi e ai rendimenti dei vari prodotti previdenziali.

Uno dei vantaggi di sottoscrivere un prodotto del genere sta anche nel fatto che è possibile controllare periodicamente con facilità i versamenti effettuati dal datore di lavoro. Questo vi eviterà brutte soprese.

Personalmente, essendo dipendente, ho deciso da tempo di destinare il TFR ad una forma previdenziale complementare. Nella mia carriera di lavoratore, ho provato (purtroppo) tutte le soluzioni: sono partito da un PIP, per poi passare ad un fondo aperto e finire ad un fondo di categoria. Quello che posso dirvi è che i costi di un PIP sono mediamente esagerati e non giustificano in nessun modo un eventuale servizio aggiuntivo che si può sperare di ottenere. In tutti i casi il lavoratore viene lasciato un po’ a se stesso, perciò il mio consiglio è di scegliere uno strumento che abbia i più bassi costi possibile e di scegliere il comparto che risponda meglio alle vostre esigenze.

Grazie per la lettura.

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