Negli ultimi mesi si sono accumulate sempre più preoccupazioni riguardo alla possibilità di una recessione economica in arrivo. Il rallentamento della crescita economica, l’aumento dell’inflazione e l’incertezza politica hanno portato molti investitori a chiedersi come proteggere il proprio portafoglio di investimenti in caso di una recessione imminente. In questo articolo, esploreremo la probabilità di una recessione nei prossimi mesi e fornirò alcune strategie per gestire il proprio portafoglio di investimenti a lungo termine di conseguenza.
Prima di iniziare, è importante sottolineare che prevedere l’arrivo di una recessione economica è difficile e spesso soggetto a interpretazione. Tuttavia, ci sono alcune metriche che gli economisti utilizzano per identificare la presenza di una recessione. In particolare, l’indicatore più importante è il PIL (Prodotto Interno Lordo), ovvero la somma di tutti i beni e servizi prodotti in un determinato paese in un certo periodo di tempo. Se il PIL diminuisce per due trimestri consecutivi, si parla di recessione tecnica. Tuttavia, è importante considerare anche altri fattori come l’inflazione, la disoccupazione e la politica monetaria.
Piccola curiosità storica: la semplificazione tale per cui se per due trimestri consecutivi il PIL diminuisce siamo in recessione tecnica è nata dall’articolo The Changing Business Cycle di Julius Shiskin apparso sul New York Times nel dicembre 1974. Nell’articolo, Shiskin cita diversi parametri utili a valutare una recessione (oltre alla riduzione del Gross National Product per 2 trimestri consecutivi, parla di una riduzione della produzione industriale su un periodo semestrale, di almeno una riduzione dell’1,5% del GNP, di un calo di almeno il 15% del tasso di occupazione nei settori non agricoli e così via). In ottica di (eccessiva) semplificazione, l’unico parametro rimasto è proprio quello dei due trimestri consecutivi con PIL in diminuzione.
Gli indicatori che anticipano una recessione
Dato che mi piace fare le cose a modo, analizzeremo i parametri riportati nell’articolo di Shiskin del 1974 e analizzeremo le decisioni delle Banche Centrali e come si potranno riflettere sull’economia.
Il PIL
Come anticipato, l’indicatore principale è l’andamento del PIL (o GDP, Gross Domestic Product) e la sua stima futura. Se mi focalizzassi solo sull’Italia non avremmo una visione d’insieme, perciò ci concentreremo sull’analisi dell’economia statunitense.
Come possiamo vedere da questo grafico, il GDP statunitense è in aumento dal secondo trimestre 2020 (crisi COVID). Le stime invece sono piuttosto positive: ci si aspetta una contrazione (ma non una decrescita) dell’economia nel 2023 e una ripartenza dal 2024. In questo grafico sono presenti le stime fino al 2027. In questa analisi condivisa dalla Federal Reserve Bank di St. Louis si evidenzia come gli analisti si aspettano una contrazione della crescita fino a toccare i minimi dello 0% nel terzo trimestre 2023 e poi una ripartenza.
Di fatto quindi l’attuale situazione e le analisi a nostra disposizione non farebbero pensare ad una recessione imminente.
Ci sono però altri parametri da analizzare. Primo tra tutti la curva dei rendimenti.
La curva dei rendimenti
La curva dei rendimenti è la curva che si crea mettendo in relazione i rendimenti delle obbligazioni con scadenza a breve con quelle a lungo termine.
Può assumere tre diverse strutture:
- Normale: quando le obbligazioni governative a lungo termine rendono di più di quelle a breve termine. E’ definita normale perché è corretto che un investitore che presta denaro più a lungo ottenga dei rendimenti maggiori rispetto a chi lo presta breve termine;
- Piatta: quando le obbligazioni a lungo termine hanno lo stesso rendimento di quelle a breve. Si presenta spesso all’interno di fasi di transizione. Per esempio quando assistiamo ad un aumento dei tassi di interesse per frenare l’inflazione dovuta ad una crescita importante;
- Invertita: quando le obbligazioni a lungo termine rendono meno di quelle a breve termine. In questo caso, il mercato “prezza” maggiormente le obbligazioni a breve perché si attende una recessione imminente.
Questa terza opzione viene anche utilizzata come stima di una possibile recessione nei prossimi 12-18 mesi.
Di seguito la rappresentazione della curva dei rendimenti generata dalla differenza dei rendimenti dei TREASURY statunitensi a 10 anni (i nostri BTP per capirci) rispetto ai T-BILLS a 3 mesi (i nostri BOT).
Come si può vedere dal grafico, le aree blu corrispondono a periodi di recessione. Prima di una recessione è presente, nella maggior parte dei casi, un periodo in cui la curva dei rendimenti è invertita.
Al momento la curva dei rendimenti tra treasury a 10 anni e t-bills a 3 mesi è invertita da maggio 2022, mentre la curva dei rendimenti tra treasury a 10 anni e treasury a 2 anni è invertita da maggio 2021.
Probabilità di recessione tramite l’analisi della curva dei rendimenti
Tramite l’analisi della curva viene fatta una stima probabilistica di recessione a 12 mesi. Attualmente la probabilità che a marzo 2024 gli USA saranno in recessione è del 57,77%.
Tasso di disoccupazione in caso di recessione
Riprendendo l’articolo di Shiskin, un altra metrica che dovrebbe essere controllata è il tasso di disoccupazione (nell’articolo si parla del tasso di disoccupazione non agricolo, in quanto quello agricolo “soffre” di un andamento sinusoidale dovuto alle stagioni) .
Il tasso di disoccupazione totale statunitense è ai minimi storici (3.5% a marzo 2023).
Il tasso di disoccupazione del settore agricolo, pur essendo stagionale, ha comunque un trend discendente.
Shiskin, nel suo articolo, parla di un tasso di disoccupazione totale preoccupante quando siamo oltre il 6% ma al momento siamo ben al di sotto di questa soglia.
Produzione industriale
Un altro campanello di allarme è la produzione industriale. Se la produzione industriale è in calo per un periodo di almeno 6 mesi consecutivi può significare, in concomitanza con altri parametri, che siamo in presenza di una recessione.
Al momento, tuttavia, la produzione industriale è vicina ai massimi storici degli ultimi 10 anni, nonostante una contrazione avvenuta tra novembre e dicembre scorsi. A questo link possiamo vedere un grafico della produzione industriale statunitense.
Inflazione e tassi di interesse
L’inflazione è un parametro cruciale in quanto nei cicli economici un’inflazione elevata corrisponde solitamente a dei picchi di espansione economica, che si verificano subito prima di una contrazione e conseguente recessione. I tassi di interessi sono armi in mano alle Banche Centrali per frenare l’inflazione. Tale strumento però ha conseguenze dirette ed indirette sulla crescita economica.
Salta subito all’occhio l’estrema correlazione tra aumento dell’inflazione (linea blu) e conseguente aumento dei tassi di interesse (linea rossa). Considerando inoltre che ogni area in grigio corrisponde ad un periodo di recessione, vediamo come ogni aumento dell’inflazione e conseguente aumento dei tassi, ha anticipato periodi di recessione economica più o meno duraturi.
Il problema di fondo degli ultimi anni è relativo al fatto che la crescita è stata “drogata” dalla politica espansiva delle Banche Centrali e da quello che tutti ormai conosciamo come Quantitative Easing (per gli amici QE).
Il nodo della liquidità
A questo link è disponibile un grafico della liquidità immessa nell’economia dalla FED. Di seguito invece vediamo la relazione che intercorre tra inflazione e tassi di interesse con la quantità di moneta circolante (rappresentata come variazione percentuale rispetto all’anno precedente dalla variabile M2).
Possiamo notare una correlazione inversa tra aumento di circolante (linea verde) e riduzione dei tassi di interesse (linea rossa). Questo è spiegato dal fatto che le Banche Centrali solitamente utilizzano l’aumento di liquidità come arma, insieme alla gestione dei tassi, per far ripartire l’economia dopo un periodo di depressione.
Tra maggio 2020 e febbraio 2021 abbiamo assistito ad un aumento di oltre il 20% mensile del circolante rispetto agli stessi messi dell’anno precedente.
Nel grafico si nota subito la politica iper-espansiva attuata dalle Banche Centrali nei mesi da maggio 2020 a marzo 2022. E’ chiaro che l’impennata dell’inflazione attuale è anche figlia di questa politica messa in atto per evitare una grave crisi economica post pandemia COVID.
Successivamente, la FED ha “chiuso i rubinetti”, attuando quello che prende il nome di Quantitative Thightening (QT). Data l’enorme quantità di liquidità presente sui mercati, la conseguenza è stata una riduzione del circolante, evento storicamente mai accaduto negli ultimi 60 anni. Lo si vede bene da questo grafico.
Le recenti decisioni della FED
E’ chiaro che la paura principale della FED sia quella di una spirale inflattiva fuori controllo, pertanto ha attuato una politica definita hawkish (falco) non preoccupandosi (o mettendo in secondo piano) delle conseguenze sull’economia reale, almeno inizialmente.
Questo perché la recente crisi di liquidità delle banche (fallimento SVB e Credit Suisse, crisi di Deutsche Bank e così via) ha portato la Banca Centrale Statunitense a frenare la sua politica aggressiva. Nonostante le promesse di non attuare più iniezioni di liquidità sul mercato, come si vede da uno dei precedenti grafici, è stato fatto un incremento “sottobanco” tra il 7 e il 21 marzo 2023. Si nota particolarmente bene da questo grafico.
Tale manovra ci fornisce indicazioni sul fatto che la FED stia iniziando a temere una possibile recessione, che potrebbe avere come trigger il settore bancario.
Seconda piccola curiosità storica: il Governo statunitense non vuole sentir parlare di recessione o di depressione. Negli anni ’70 Alfred Kahn, al servizio del governo per combattere l’inflazione galoppante, parlò esplicitamente di crisi, di recessione e di depressione. Dopo essere stato pesantemente ripreso dagli esponenti del Governo dell’allora Presidente Carter, iniziò a parlare di banane per riferirsi ai periodi di recessione. I produttori di banane non ne furono contenti, perciò Kahn decise di sostituire alla banana il kumquat, un piccolo mandarino cinese.
La crisi bancaria del 2022
Necessario aprire anche una parentesi sulla situazione del settore bancario, date le recenti vicissitudini. Il recente fallimento di SVB è stata tra le prime crisi di liquidità nel settore, che successivamente ha colpito anche Credit Suisse e Deutsche Bank.
Un parametro da tenere sotto controllo è l’ammontare dei profitti (ma soprattutto delle perdite) non realizzate dalle banche commerciali. Nel grafico seguente salta subito all’occhio come gli istituti di credito stiano soffrendo particolarmente l’aumento vertiginoso dei tassi di interesse effettuati dalle Banche Centrali.
Siamo ai minimi in un periodo di oltre dieci anni a questa parte per quanto riguarda le perdite non realizzate. Queste perdite sono dovute all’eccessiva esposizione delle banche a titoli obbligazionari a lungo termine acquistati durante gli scorsi anni, in quanto unici titoli ancora redditizi in un’economia dove i tassi erano a zero e le Banche Centrali stavano iniettando liquidità nel sistema.
L’aumento dei tassi ha fatto svalutare questi titoli, in quanto molto meno redditizi rispetto alle nuove emissioni degli ultimi mesi, molto più profittevoli. Questo ha portato i portafogli delle banche a soffrire di perdite enormi, pur avendo acquistato titoli di Stato investment grade. Tali perdite sono ovviamente non realizzate in quanto si cerca di non liquidare le posizioni per non rendere tali perdite effettive.
Per far fronte a questa situazione, gli istituti di credito stanno ricorrendo a quello che viene definito in gergo credit crunch. Stanno, cioè, chiudendo i rubinetti per quanto riguarda l’emissione di nuovi prestiti. Tale scelta porterà molto probabilmente ad una contrazione dell’economia nei prossimi mesi, dato il ruolo cruciale del credito nel nostro sistema economico.
Cosa aspettarsi dal futuro?
Tirando le somme di quella che è la situazione attuale, possiamo dire che le variabili principali da temere sono principalmente tre: inflazione, decisioni delle Banche Centrali (principalmente la FED) e crisi di liquidità delle banche.
Purtroppo ci sono molte variabili in gioco che influenzano direttamente quelle appena esposte, ma da investitori non possiamo parlare di recessione quando guardiamo al -20% del mercato azionario nello scorso anno. Questo perché esiste un mantra che è bene ripetersi più e più volte: the stock market is not the economy. Se il mercato azionario ha un calo più o meno importante, ma l’economia nello stesso periodo è in crescita, non possiamo parlare di recessione.
Una eventuale recessione avrà sicuramente impatti anche sulle aziende e quindi sulle loro azioni, quindi è bene non farsi trovare impreparati. Il fatto che il mercato azionario abbia avuto un calo potrebbe significare che può aver scontato lo spauracchio di una probabile recessione futura, ma non è detto che questa non si palesi in un futuro prossimo.
Vediamo quindi quali sono i probabili scenari futuri e come comportarsi.
I potenziali scenari futuri
Come visto precedentemente, l’imminente futuro dipenderà principalmente da tre fattori fortemente collegati tra loro, ossia quali saranno le decisioni delle Banche Centrali, come si muoverà l’inflazione e come cambierà la situazione creditizia in relazione alla crisi di liquidità che stanno vivendo le banche.
Questo potrà concretizzarsi in due scenari più probabili che prendono il nome di soft-landing (atterraggio morbido) o hard-landing (atterraggio duro).
Soft-landing
Con il termine soft-landing si indica uno scenario nel quale l’economia rallenta ma non c’è recessione. Questo scenario è probabile nel caso in cui l’effetto delle politiche messe in atto dalle Banche Centrali abbia effetto sull’inflazione, che cala in modo piuttosto rapido, ma non vengono messe in crisi tutte le altre metriche viste precedentemente (PIL, produttività industriale, tasso di disoccupazione e così via).
In questo caso, la FED potrà iniziare a pensare ad un repentino cambio in termini di politica monetaria, definito “pivot“. Un cambio del genere è probabile che avverrà solo una volta riportata l’inflazione ad un valore target che si aggira intorno al 2-2,5%.
Se durante i prossimi mesi, quindi, l’economia “tiene botta” e, pur rallentando, continua a crescere, potremo parlare di soft-landing.
In questo scenario anche il mercato azionario potrà subire un rallentamento nella crescita. Sarà solo meno redditizio di come è stato nel periodo tra la crisi subprime e la pandemia. Tuttavia è probabile che non assisteremo a nessun crollo, se non per altri motivi al momento impossibili da prevedere.
Inoltre, con i tassi di interesse elevati, le obbligazioni saranno uno strumento valido per avere degli buoni rendimenti. Data l’incertezza futura e la curva invertita, può essere saggio adeguarsi e preferire obbligazioni a breve termine.
Hard-landing
Tra i due è il caso peggiore. Atterraggio rovinoso. Le politiche aggressive delle Banche Centrali potrebbero portare ad una probabile crisi, che farà scivolare l’economia su quella che il buon vecchio Kahn chiamava banana (o kumquat).
In questo scenario è molto probabile che il mercato azionario crollerà e con sé i nostri portafogli (sicuramente il mio, visto che sono esposto oltre il 60% all’azionario globale). Saranno invece redditizie le obbligazioni a lungo termine, in quanto le Banche Centrali dovranno per forza di cose cambiare linea d’azione, riducendo i tassi di interesse per far ripartire l’economia in declino.
Il fatto che i tassi di interesse abbiano subìto un tale aumento potrebbe essere in un certo senso positivo, dato che potranno essere utilizzati come strumenti per ridare vita al credito e conseguentemente all’economia, tramite una loro riduzione.
Cosa possiamo fare come investitori in caso di hard-landing?
Come al solito la risposta a come comportarsi in questi casi è una e penso sia scontata: dipende.
Dipende principalmente da un fattore anagrafico, ossia la vostra età, e dagli obiettivi che vi siete prefissati.
Se siete giovani e avete un orizzonte temporale lungo (20/30/40 anni) c’è da fare una sola cosa: stare fermi (e ringraziare). Può essere un duro colpo, ma passare attraverso una crisi del mercato azionario ad inizio percorso da investitori (se si hanno i nervi saldi e si è decisa in modo consapevole una corretta asset allocation) è una manna per i nostri portafogli di lungo termine. Acquistare a sconto ci consente di ottenere sul lungo periodo i migliori rendimenti possibili.
Viceversa, se siete prossimi alla pensione o al raggiungimento dei vostri obiettivi oppure se siete eccessivamente esposti sul mercato azionario (ossia non avete adattato la vostra asset allocation in modo consapevole), una crisi potrebbe fare molto male. Come ho mostrato in questo articolo, il mercato azionario ha impiegato mediamente 3 anni per riprendersi da una crisi, ma ci sono state crisi recuperate in meno di un anno (per esempio crash del mercato causa COVID) e crisi recuperate in più tempo (per esempio bolla dot-com oppure la grande recessione del 2008).
Conclusioni
Se il vostro orizzonte è di pochi anni potreste non recuperare in tempo le perdite, considerando sempre che una perdita del 20% richiede che il mercato risalga del 25%, una perdita del 30% richiede che il mercato aumenti del 42.86% e una perdita del 50% richiede che il mercato torni su del 100% per recuperare ai livelli pre-crisi.
In questi casi è bene valutare con maggiore attenzione la propria esposizione all’azionario, in quanto oltre al danno psicologico di vedere il proprio portafoglio calare in modo molto brusco, c’è il danno concreto che dovrete rivedere la vostra pianificazione.
Nessuno conosce il futuro e la stima che ci fornisce la curva dei rendimenti attualmente è di circa il 50% di probabilità, ossia nei prossimi 12 mesi potrebbe arrivare una recessione come no. E’ inutile fasciarsi la testa in anticipo o preoccuparsi eccessivamente.
Il consiglio che posso darvi è quello che vi darei in qualunque altra situazione di mercato: decidete bene la vostra asset allocation. I danni peggiori ai portafogli non li fanno gli strumenti ma chi li gestisce. La consapevolezza è la migliore arma che abbiamo e non dobbiamo mai dimenticarcene.
Purtroppo la strada per il Paradiso è lastricata di buone intenzioni. Siamo tutti euforici quando vediamo il nostro portafoglio esposto completamente al mercato azionario crescere del 10% all’anno e ci siamo convinti magari che in riusciremo a resistere psicologicamente a cali di portafoglio importanti. Ma dobbiamo ricordarci che l’economia e il mercato sono ciclici e a fasi di euforia corrispondono altrettante fasi di depressione.
Il miglior modo di essere profittevoli sul lungo periodo è essere saldi e fermi sulle proprie scelte iniziali.
Grazie per la lettura.
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