La sopravvalutazione dei metodi di valutazione

Ho un problema con i metodi di valutazione. Almeno quelli più diffusi.

Prendiamo l’azione più chiacchierata di questi tempi: NVIDIA. Se guardiamo agli ultimi 5 anni il prezzo del titolo è passato da 37 dollari a 900 dollari per azione. Tuttavia se avessimo guardato al P/E ratio tra il maggio e il settembre 2023 avremmo probabilmente venduto il titolo, dato che il rapporto prezzo utili era sopra 200x. E invece da settembre 2023 ad oggi il prezzo del titolo è più che raddoppiato.

Il rapporto prezzo/utili (P/E ratio)

Il P/E ratio ci dice quanto gli investitori sono disposti a pagare per ogni dollaro di utile generato da un’azienda. Tra maggio e settembre 2023 gli investitori stavano pagando oltre 200 dollari per ogni dollaro di utile di NVIDIA.

Il problema è che il rapporto P/E mette a confronto il prezzo di un titolo che è basato sulle aspettative con il valore degli utili a consuntivo che vengono resi noti ogni 3 mesi. Un investitore che avesse acquistato NVIDIA a maggio si sarebbe dovuto aspettare quindi un incremento degli utili di oltre 10 volte il trimestre precedente. Invece gli utili di NVIDIA sono “solo” raddoppiati.

Un altro problema è che il rapporto P/E è una fotografia scattata in un determinato momento degli utili di un’azienda. Robert Shiller ha provato a metterci una pezza ideando il CAPE.

Il metodo di valutazione di Robert Shiller: il CAPE

Il Cyclically Adjusted Price Earnings Ratio (CAPE o Shiller PE ratio) è il rapporto P/E nel quale gli utili sono mediati sugli ultimi 10 anni. Viene generalmente applicato agli indici di mercato e serve a dare un’idea se il mercato è sopravvalutato o sottovalutato.

E’ lo stesso Robert Shiller a mettere a disposizione sul suo sito web 150 anni di storico dell’S&P per il quale è stato calcolato il CAPE.

Ad una prima occhiata superficiale possiamo dire che l’indicatore di Shiller è incredibilmente preciso nel determinare i momenti di crisi del mercato. Ma guardando più attentamente possiamo notare alcuni aspetti cruciali:

  • è un ottimo indicatore per i casi estremi: finché il rapporto prezzo su media degli utili decennale è intorno alla sua media storica l’indicatore non fornisce grandi indicazioni. Il CAPE è rimasto tra il 25 e il 30 sia nel decennio perduto (2000-2009) sia dal 2010 al 2017. Eppure i rendimenti dei due periodi sono stati enormemente diversi;
  • anticipa solo un certo tipo di bolla speculativa: ci sono state crisi di mercato con un CAPE oltre 40 (bolla dot-com) e crisi con CAPE nella media (2009 o la crisi degli anni ’70);
  • la media del CAPE era intorno a 15 prima degli anni ’50, oggi è a oltre 20. E’ esplosa tra il 1985 e il 2000 per poi assestarsi intorno a 20. Il trend storico quindi è palesemente in aumento.

I problemi con i metodi di valutazione

Se guardiamo le valutazioni dal 1990, il rapporto CAPE è stato sotto la media solo per 22 mesi, cioè circa il 5% del tempo. E non è che erano prezzi scontati, solo sotto la media.

Nel periodo 1990-91 le valutazioni erano sotto media. Poi nulla di simile fino a un periodo di 10 mesi nel 2008-09. Insomma, se volevate comprare azioni quando le valutazioni erano ragionevoli, avete avuto solo due occasioni negli ultimi trent’anni. E dal 2010? Niente, sempre sopra la media, mai una lettura mensile sotto il 20x dalla fine del 2009. Dopo il 2009, zero chance di acquistare sotto la media. Nel 2010, già c’erano allarmi sulle valutazioni troppo alte.

Nel periodo di bassi tassi di interesse dal 2010 sembrava ovvio che le azioni sarebbero salite, ma all’epoca tutti temevano che quei bassi tassi avrebbero portato a bassi rendimenti. E invece, guardate un po’, i metodi di valutazione indicavano il mercato azionario USA come sopravvalutato il 95% del tempo ma ha avuto rendimenti oltre il 10% annuo in quel periodo. Dal 2010, l’S&P 500 ha fatto quasi il 14% all’anno, nonostante tutti dicessero che era sopravvalutato.

E nel 2020, nonostante pandemia, inflazione al massimo, due mercati orso e uno dei cicli di aumento dei tassi più aggressivi della storia, l’S&P 500 ha reso più dell’11% all’anno. Può sembrare un controsenso, ma questo è. Non sto dicendo che continuerà così per sempre e prima o poi i rendimenti alti porteranno a rendimenti più bassi, così funziona in teoria il concetto di regressione verso la media nel mercato azionario. Ma il punto è che noi investitori forse diamo troppa importanza alle valutazioni. Capire la storia dei mercati finanziari è fondamentale per avere successo, ma diventare schiavi dei numeri può essere un problema se non li contestualizziamo.

La standardizzazione dei metodi di valutazione

I metodi di valutazione soffrono di un ulteriore problema. Quello della standardizzazione. Significa cioè che se una determinata metrica che prima non esisteva e adesso esiste e la sua efficacia storica è comprovata, verrà impiegata da sempre più investitori per prendere decisioni.

Una volta individuato e diffuso un metodo di valutazione che spiega in modo coerente il passato, questo è probabile che diventi uno standard. Il fatto che diventi uno standard significa che difficilmente garantirà un vantaggio competitivo in quanto quell’informazione è di pubblico dominio.

Facciamo un esempio banale e un po’ forzato utilizzando il CAPE di Shiller per spiegare il concetto.

Storicamente sappiamo che un CAPE considerato elevato (maggiore di 40) significa quasi certamente sopravvalutazione del mercato in quanto è successo che questa metrica fosse elevata appena prima della bolla dot-com. Nel momento in cui il CAPE inizia ad avvicinarsi pericolosamente ai livelli avuti durante la bolla dot-com i grandi investitori istituzionali, che sicuramente annoverano l’osservazione di questo indicatore (ormai diventato uno standard) nei loro metodi di analisi, probabilmente propenderanno verso una minore esposizione su quel determinato mercato e venderanno una parte del loro portafoglio esposto nelle azioni di quelle aziende che fanno parte di quel mercato. Questo perché chiunque, e in particolar modo gli istituzionali, odia perdere soldi più di quanto ama farne.

Dato che gli istituzionali muovono molti capitali, è probabile che l’effetto dato dalla vendita di quella porzione di portafoglio inneschi un effetto a catena tale per cui il prezzo delle azioni di quelle aziende tenda a tornare a dei livelli considerati “normali” per la maggior parte dei metodi di valutazione.

L’esempio è estremamente banalizzato ma è quello che succede quando molte persone utilizzano certi indicatori in massa. Come scrivevo nell’articolo sul trading, gli indicatori funzionano perché gli investitori li utilizzano. Resistenze e supporti sono tali perché molti investitori li tracciano e li utilizzano nelle loro analisi e non perché il prezzo di un titolo magicamente si ferma in prossimità di determinati livelli.

Questa continua standardizzazione di nuovi metodi di valutazione del mercato obbliga chi vuole ottenere un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza a monitorare sempre più indicatori di valutazione che però non gli garantiranno un effettivo vantaggio ma serviranno solo per essere informati tanto quanto i diretti concorrenti.

Questo accade anche quando vogliamo provare ad ottenere un extra rendimento sui mercati. Dobbiamo per forza di cose saper leggere tutti i dati che gli altri sanno leggere e saperne interpretare alcuni meglio della media. Se non consideriamo tutte le variabili che la maggior parte degli investitori conosce, siamo in una posizione di svantaggio.

I multipli sono in aumento

Il discorso della standardizzazione funziona anche al contrario.

Oggi investire è molto più facile rispetto al passato. Con l’avvento della diversificazione economica nell’ultimo mezzo secolo, gli investitori di oggi sono pronti ad accettare rendimenti futuri più bassi (ovvero valutazioni più alte) rispetto ai loro antenati. Questo ha cambiato il gioco della valutazione, rendendo i confronti storici meno utili di prima.

Pensate a come sarebbe stato investire 80 anni fa. Oggi basta aprire un conto e comprare un fondo indicizzato senza quasi pagare commissioni. Investire ora è molto più semplice ed economico. Quindi, quanto rendimento annuo sareste disposti a sacrificare nel 1950 per avere le comodità di investimento che abbiamo oggi? Guardando i grafici che ho mostrato prima, si vede che il rapporto prezzo/utili di Shiller è cresciuto nel tempo, dimostrando che gli investitori oggi sono disposti a pagare di più rispetto al passato.

Quindi, aspettarsi che i valori tornino alla “normalità” storica non ha molto senso. Il mondo degli investimenti è cambiato e gli investitori si sono adattati. E’ molto probabile che le valutazioni non torneranno ai livelli storici, perché gli investitori di oggi le spingerebbero di nuovo su (sempre per il tema della standardizzazione). E’ quello che è successo nei crolli del 2009 e del 2020. Se gli investitori di oggi sono pronti ad accettare valutazioni più elevate, significa che si aspettano rendimenti futuri più bassi.

Conclusioni

Non sto dicendo che i metodi di valutazione non siano utili. Probabilmente contano di più per le singole azioni che per il mercato nel suo complesso, ma contano agli estremi (come nel 1999). Tuttavia è raro che i mercati raggiungano gli estremi dato che la maggior parte del tempo si trovano da qualche parte nel mezzo tra il molto sopravvalutato e il molto sottovalutato.

La gente dà troppa importanza ai metodi di valutazione a livello di mercato azionario. Ci sono un sacco di altri fattori che contano di più, come la diversificazione, la capacità di sostenere il rischio, la previdenza complementare, i vantaggi fiscali, i trilioni di dollari controllati dai consulenti finanziari, come sono posizionate le istituzioni e altro ancora.

Gli ultimi 20 anni di rendimenti del mercato azionario statunitense sono un bell’esempio di quanto sia difficile prevedere cosa succederà dopo. Nessuno poteva sapere che la Fed e la Bce avrebbero mantenuto i tassi a zero per così tanto tempo, che le azioni tecnologiche sarebbero cresciute a livelli giganteschi, o che una pandemia avrebbe spinto i governi di tutto il mondo a spendere trilioni di dollari.

Ma forse è proprio questo il punto. Prevedere il futuro è difficile, specialmente quando si tratta di mercati. Il mercato azionario non si cura molto delle medie storiche e forse ne guadagneremmo a ignorare un po’ di più cosa dicono i metodi di valutazione.

Grazie per la lettura.

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Giulio

Complimenti per il bellissimo articolo. Alla luce di ciò che scrivi (e che io condivido per ciò che mi consentono le mie limitate competenze) pensi possa essere utile oppure NO affiancare a un globale come SWDA un etf value tipo IWVL, per una percentuale minore ovviamente? Parere personale: non mi fido completamente delle metriche di selezione dell’etf. Il mercato cambia e si evolve. Grazie

Giulio

Grazie mille. Chiedevo solo un parere personale per un semplice confronto, un punto di vista sul factor investing, visto che mi sembra non raccolga pareri unanimi. Giammai un consiglio d’investimento. Non voglio mettere nei guai nessuno. Ciao

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