Tutto sul Factor Investing: vantaggi e strategie

Il Factor Investing è una pratica consolidata da diverse decadi, supportata da una vasta letteratura, eppure continua ad essere circondato da molta confusione e dibattito. Alcuni dei discorsi e dei miti esistono da molto tempo, mentre altri sono emersi in risposta alle difficoltà di performance dal 2018 al 2020 e al successivo cambiamento di rotta.

Cosa è il Factor Investing?

Da dove nasce l’idea dei fattori?

Che impatti può avere l’utilizzo di fattori sui rendimenti di lungo termine?

In questo articolo voglio far luce sugli aspetti principali del Factor Investing, partendo dalla sua definizione e dalla sua storia fino ad analizzare i rendimenti sul lungo termine.

Cosa è il Factor Investing?

Per comprendere il concetto dietro al Factor Investing è necessario prima spiegare un po’ di teoria economica. Dobbiamo quindi partire da alfa e beta, dal CAPM e dagli studi di Markowitz, Sharpe, Lintner e Mossin. Non a caso l’investimento in fattori è anche definito “smart beta”.

William Sharpe, John Lintner e Jan Mossin svilupparono il Capital Asset Pricing Model (CAPM), che integra la teoria del portafoglio di Markowitz e introduce il concetto di beta. Il CAPM stabilisce una relazione lineare tra il rischio sistematico di un titolo (misurato dal beta) e il rendimento atteso del titolo. Il beta misura la sensibilità del rendimento di un titolo rispetto al rendimento del mercato complessivo.

La formula del CAPM è:

Dove:

  • E(Ri) è il rendimento atteso del titolo i;
  • Rf è il tasso privo di rischio;
  • βi​ è il beta del titolo i;
  • E(Rm) è il rendimento atteso del mercato;
  • E(Rm)−Rf​ è il premio per il rischio di mercato.

Il concetto di alfa deriva dagli stessi sviluppi teorici che hanno portato al Capital Asset Pricing Model (CAPM) e si riferisce alla parte del rendimento di un investimento che non può essere spiegata dal beta (cioè dal rischio sistematico). L’alfa è la risultante del rischio idiosincratico.

In altre parole, l’alfa misura l’abilità di un gestore di portafoglio di ottenere rendimenti superiori rispetto al rischio assunto. Un alfa positivo indica che il titolo o il portafoglio ha sovraperformato rispetto alle attese basate sul beta, mentre un alfa negativo indica una sottoperformance.

Il Beta è una misura della volatilità di un titolo o di un portafoglio rispetto al mercato nel suo complesso. E’ un indicatore che misura la sensibilità del rendimento di un titolo o di un portafoglio rispetto al rendimento del mercato di riferimento. In altre parole, indica quanto un titolo si muove in relazione ai movimenti del mercato.

  • Beta = 1: Il titolo si muove in linea con il mercato. Se il mercato cresce del 10%, anche il titolo cresce del 10%.
  • Beta > 1: Il titolo è più volatile del mercato. Se il mercato cresce del 10%, il titolo potrebbe crescere del 15% (e viceversa).
  • Beta < 1: Il titolo è meno volatile del mercato. Se il mercato cresce del 10%, il titolo potrebbe crescere solo del 5% (e viceversa).

Le strategie smart beta utilizzano il concetto di beta ma lo estendono, andando oltre il semplice confronto con il mercato complessivo. Mentre il beta tradizionale del CAPM si concentra su come un titolo si muove rispetto al mercato in generale, le strategie smart beta cercano di spiegare che il rendimento sistematico possa dipendere anche da altri fattori. L’obiettivo è quello di sfruttare fattori specifici (come value, size, momentum, quality e minimum volatility) per costruire portafogli che possano offrire rendimenti superiori o ridurre i rischi rispetto ai benchmark tradizionali.

Quindi, il nome “smart beta” riflette l’uso intelligente e avanzato del concetto di beta, applicato non solo al rischio di mercato ma anche ad altri fattori che influenzano i rendimenti degli investimenti.

Quali sono i fattori sui quali possiamo investire?

I fattori individuati dalla ricerca sono 5:

Value
La strategia Value si propone di acquisire rendimenti eccedenti da azioni il cui prezzo è inferiore al loro valore fondamentale. Questo viene comunemente valutato attraverso indicatori come il rapporto prezzo su valore contabile, il rapporto prezzo su utili, i dividendi e il flusso di cassa libero.

Size
Storicamente, i portafogli composti da azioni di piccola capitalizzazione hanno mostrato rendimenti superiori rispetto a quelli costituiti solo da azioni di grande capitalizzazione. Gli investitori possono valutare la dimensione guardando la capitalizzazione di mercato di un’azione.

Momentum
Le azioni che hanno registrato rendimenti superiori in passato tendono ad avere rendimenti solidi anche in futuro. Una strategia di momentum si basa sui rendimenti relativi da tre mesi a un anno.

Quality
La qualità è definita da basso livello di debito, utili stabili e crescita degli asset coerente nel tempo. Gli investitori possono individuare azioni di qualità utilizzando metriche finanziarie comuni come il rendimento del patrimonio netto, il rapporto debito/equity e la variabilità degli utili.

Minimum Volatility
La ricerca empirica suggerisce che le azioni con bassa volatilità generano rendimenti maggiori su base rischiosamente adeguata rispetto agli asset altamente volatili. Misurare la deviazione standard da un periodo di uno a tre anni è un metodo comune per valutare il beta.


Di seguito l’andamento di 5 ETF UCITS ad accumulazione basati sui 5 fattori appena elencati nel periodo 2001-2024.

Gli impatti del Factor Investing sul rendimento di lungo termine

L’obiettivo del Factor Investing è quello di riuscire a generare ritorni aggiustati per il rischio maggiori rispetto al mero investimento passivo. Non a caso i fondi che replicano l’andamento di fattori sono definiti da alcuni come semi-attivi. L’idea di fondo è quella di aumentare la concentrazione in una porzione più piccola di aziende per ottenere un rapporto rendimento/rischio più elevato.

Tre di questi fattori si concentrano molto sul rendimento (Momentum, Value e Small Cap).

Ad esempio, l’idea di investire di aziende a più bassa capitalizzazione è proprio quella di beneficiare prima del resto del mercato dell’esplosione di piccole realtà che un domani guideranno i mercati.

I colossi di oggi (Amazon, Apple, Nvidia, Microsoft e così via) 20 o 30 anni fa erano a tutti gli effetti delle small caps. Erano cioè aziende a bassa capitalizzazione che hanno beneficiato di un incremento delle loro valutazioni enorme, ma la maggior parte di questo incremento lo hanno avuto nei primi anni di boom. In questi primi anni, se avessimo avuto un fondo passivo sull’S&P500 o, peggio, un fondo su azionario globale avremmo beneficiato di questa esplosione del valore dei nuovi colossi in piccolissima parte, proprio perché la stragrande dei fondi azionari di oggi sono pesati sulla market cap.

Più piccola è l’azienda, meno peso ha all’interno di un indice.

Lo scopo del fattore Small Cap è proprio quello di pagare lo scotto di un maggior rischio (molte small cap potrebbero fallire o rimanere poco capitalizzate molto a lungo) per trovare le Amazon, le Microsoft e le Apple di domani.

Ottenere un extra-rendimento rispetto al mercato, ma in modo diverso, è anche lo scopo del fattore Momentum. In questo caso si parte dall’assunto che chi ha fatto bene prima continuerà a far bene anche in futuro. E’ una sorta di applicazione dell’effetto Lindy. Si vuole beneficiare di un effetto “inerzia” tale per cui le aziende che hanno avuto buone performance continueranno ad averne. Una volta che le performance saranno scadenti, il fondo che si basa sul fattore Momentum le venderà per acquistare le azioni più performanti nel recente passato.

Un esempio di portafoglio che investe su fattori potrebbe essere il seguente (confrontato con un benchmark come SWDA). E’ un semplice portafoglio d’esempio per valutare l’impatto “spot” di alcuni fattori rispetto al semplice investimento passivo. Non è il risultato di un backtesting accurato e ne sconsiglio l’impiego previa valutazione personale.

FondoIndicePeso %
iShares Core MSCI World UCITS ETF USD (Acc)MSCI World70%
Xtrackers MSCI World Momentum Factor UCITS ETF 1CMSCI World Momentum10%
SPDR MSCI USA Small Cap Value Weighted UCITS ETFMSCI USA Small Cap Value Weighted10%
iShares Core MSCI Emerging Markets IMI UCITS ETF (Acc)MSCI Emerging Markets IMI10%

Dubbi sul Factor Investing

Il Factor Investing non è esente da critiche.

Una prima critica è quella mossa da Rick Ferri nel suo intervento alla Bogleheads Conference del 2023.

Rick Ferri, un consulente finanziario rispettato, è noto per la sua vasta esperienza nel settore degli investimenti, con sette libri pubblicati e una certificazione Chartered Financial Analyst (CFA).

Nel contesto dell’investimento basato sui fattori, Ferri sottolinea l’importanza del beta di mercato e l’influenza delle tendenze di mercato sull’80% dei rendimenti azionari. I fattori di investimento, come dimensione, valore, qualità e momentum, rappresentano circa il 20% o meno dei rendimenti.

Utilizza il termine “smart beta” per descrivere il contributo di questi fattori alla performance del portafoglio. Tuttavia, critica le illusioni dei backtest, sostenendo che i risultati positivi non si traducono sempre in reali vantaggi una volta che i fattori diventano noti, generando aspettative ingannevoli e comportamenti rischiosi.

Ferri quindi raccomanda di detenere l’intero mercato tramite fondi indicizzati, meno stressanti e più convenienti rispetto alle strategie complesse basate sui fattori. Anche se riconosce i potenziali vantaggi dei fattori, Ferri avverte che non sono garantiti e possono comportare rischi e costi maggiori. Suggerisce ai nuovi investitori di limitare l’esposizione ai fattori al 25% del portafoglio, allocando la maggior parte degli investimenti a fondi che replicano l’intero mercato.

La stessa critica sulle modalità di backtesting del Factor Investing è stata mossa da Marcos Lopez de Prado in una sua recente pubblicazione.

De Prado infatti critica gli studi che sono stati fatti sul Factor Investing come obsoleti e puramente associativi. E’ fondamentale per l’autore del paper invece trovare una causalità tra investimento in fattori e maggior rendimento atteso.

Una dovuta spiegazione delle differenze tra studi associativi e causali.

Gli studi associativi osservano le correlazioni tra variabili senza implicare necessariamente una relazione di causa-effetto. Ad esempio, un’associazione tra il consumo di cioccolato e la salute del cuore può essere osservata, ma non significa automaticamente che il consumo di cioccolato migliori la salute del cuore.

Gli studi causali, invece, cercano di determinare se una variabile causa un cambiamento in un’altra variabile. Questi studi spesso coinvolgono sperimentazioni controllate dove i ricercatori manipolano una variabile per osservare il suo effetto su un’altra variabile. Ad esempio, somministrando un farmaco a un gruppo di pazienti e un placebo a un altro, si può osservare se il gruppo che ha ricevuto il farmaco mostra miglioramenti significativi rispetto al gruppo placebo.

Le teorie causali consentono un’attribuzione corretta di rischio e rendimento, rendono trasparenti le assunzioni coinvolte nei meccanismi di investimento, riducono le possibilità di errori e garantiscono una maggiore affidabilità delle strategie di investimento nel lungo periodo.

L’autore muove un’aspra critica all’industria finanziaria, che finanzia principalmente studi associativi, perché sono più economici e facili da produrre rispetto agli studi causali (scientifici), mentre aiutano a ottenere entrate annuali nell’ordine delle decine di miliardi di dollari statunitensi.

BlackRock infatti ha stimato che nel 2017 l’industria dell’investimento basato sui fattori gestiva 1,9 trilioni di dollari e prevedeva che tale ammontare sarebbe cresciuto a 3,4 trilioni di dollari entro il 2022 (purtroppo non ho trovato conferma se le previsioni di BlackRock si siano avverate o meno). Questa massiccia industria si basa quindi sull’output accademico e non sui risultati per gli investitori.

Conclusioni

Come sottolineato da uno studio di AQR, l’idea del Factor Investing si basa sul concetto del “who is on the other side“.

Prendiamo ad esempio le azioni economiche rispetto a quelle costose: se tutti decidessero di sovraponderare le azioni economiche e nessuno fosse disposto a soddisfare questa domanda, il prezzo delle azioni economiche aumenterebbe, cessando quindi di essere economiche.

Secondo la visione basata sul rischio, le azioni economiche sono economiche perché sono effettivamente rischiose: sono esposte a un rischio che alcuni investitori non gradiscono e non desiderano possedere. Di conseguenza, un investitore disposto a sopportare questo rischio guadagnerà un premio di rendimento per compensarlo, mentre un altro investitore che non desidera questo rischio è disposto a “pagare” per evitarlo, evitando di possedere le azioni economiche.

Questo ci porta quindi ad una fondamentale conclusione: il Factor Investing è per definizione più rischioso dell’investimento passivo, in quanto se scegliamo di investire in fattori stiamo deliberatamente scegliendo di stare dall’altro lato, di investire quindi come fa una minoranza di investitori. La maggioranza prediligerà le azioni più costose e tali azioni avranno valutazioni più alte (e quindi ritorni attesi più bassi) proprio perché sono scelte dalla maggioranza degli investitori.

Vien da sé che il Factor Investing non è adatto a tutti, ma solo a chi è disposto a prendersi un maggior rischio per avere un maggior rendimento.

Lo scopo del Factor Investing deve comunque essere quello di aumentare la diversificazione del portafoglio pertanto non dovrebbe mai superare il 20-25% dell’asset allocation, come suggerito da Rick Ferri.

Un’ultima considerazione riguarda il periodo di detenzione di fondi che investono in fattori: è stato infatti dimostrato che il beneficio di investire in precisi fattori lo si ha su periodi temporali molto lunghi (indicativamente oltre 20 anni), pertanto questo tipo di investimento non è adatto per obiettivi di medio termine.

Grazie per la lettura.

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Giulio

Bravo! Gran bell’articolo, che fa il punto della situazione sui fattori d’investimento.
Ti faccio solo una domanda: qual è il tuo parere personale (nessun consiglio ovviamente) sull’investimento fattoriale?
Sei più d’accordo con De Prado e Ferri o con AQR?

Giulio

Grazie per la risposta. Sottoscrivo in pieno la tua riflessione. Neanche io ho mai investito nei fattori: il punto è che non mi fido della loro poca diversificazione. Secondo il CAPM sono una scommessa, secondo De Prado una “scatola nera”, secondo altri sono “gestione attiva”.

Francesco

Grandi spunti come sempre..ti seguo ormai da un annetto e
ti stimo x quello che scrivi e gli articoli che fai..sei un pozzo di scienza..Volevo sapere quando farai un aggiornamento sul tuo portafoglio di investimento?grazie e ciaooo

Francesco

Bel video..ti seguo ormai da un annetto e
ti stimo x quello che scrivi e gli articoli che fai..sei un pozzo di scienza..Volevo sapere quando farai un aggiornamento sul tuo portafoglio di investimento?grazie e ciaooo

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